BALENOTTERA COMUNE

Soffio alto verticale di 5-6 metri
Capo cuneiforme
Pinna dorsale alta e falcata
© Wurtz-Artescienza
La balenottera comune, dopo la balenottera azzurra è l’animale più grande esistente sul nostro pianeta. Gli esemplari adulti di sesso maschile possono raggiungere rispettivamente i 27 m e 80 t, mentre gli esemplari di sesso femminile i 24 m e 45 t… Leggi tutto
CAPODOGLIO

Soffio basso, disordinato, obliquo
Capo squadrato
Pinna dorsale a triangolo smussato
© Wurtz-Artescienza
Gli esemplari adulti di sesso maschile possono raggiungere rispettivamente i 18,3 m e 57 t, mentre gli esemplari di sesso femminile i 12,5 m e 24 t… Leggi tutto
ZIFIO

Capo affusolato
Colorazione variabile: da grigio scuro a chiaro con chiazze e graffiature
Pinna dorsale piccola e in posizione arretrata
© Wurtz-Artescienza
Rappresenta uno dei delfini di di maggiori dimensioni e caratterizzato da un notevole dimorfismo sessuale, infatti gli esemplari maschi possono raggiungere i 6 m circa di lunghezza e superare le 2 t di peso, mentre gli esemplari di sesso femminile sono leggermente più piccoli, in quanto solitamente raggiungono i 5 m di lunghezza e il loro peso si aggira intorno ad 1 t… Leggi tutto
GLOBICEFALO

Capo tipicamente globoso
Colorazione nero ebano
Pinna dorsale bassa e apice arrotondato
Pinne pettorali lunghe e falciformi
© Wurtz-Artescienza
Gli esemplari adulti raggiungono circa i 6 m di lunghezza e le 3 t di peso… Leggi tutto
GRAMPO

Pinna dorsale molto alta, falcata, in posizione mediana
Capo arrotondato senza rostro
Pelle liscia color grigio ardesia, spesso con sfumature chiare sul dorso
© Wurtz-Artescienza
Gli individui adulti possono raggiungere una lunghezza di 3-4 m ed un peso di circa 500-600 kg… Leggi tutto
TURSIOPE

Strisce sui fianchi poco contrastate
Melone pronunciato, rostro corto e tozzo
Colorazione grigia con dorso più scuro
© Wurtz-Artescienza
Le caratteristiche morfologiche del tursiope variano in relazione all’area geografica in cui vive. Nel Mediterraneo gli individui adulti possono raggiungere una lunghezza di 2-3 m ed un peso di circa 150-180 kg e oltre (fino a 300 kg)… Leggi tutto
STENELLA STRIATA

Melone ben distinto dal rostro, che è allungato e sottile
Colorazione con zone di contrasto: dorso nero, vistose strisce sui fianchi
Pinna tipicamente falcata
© Wurtz-Artescienza
La stenella striata è un delfino con il corpo siluriforme. Gli individui adulti nel Mediterraneo possono raggiungere una lunghezza di 2 m (oceanici fino a 2,5 m) ed un peso di circa 80-120 kg… Leggi tutto
DELFINO COMUNE

Fianco con disegno a clessidra, chiazza anteriore color senape
Triangolo grigio scuro o nero sotto la pinna dorsale , con la punta verso il basso
Pinna piccola tipicamente falcata
© Wurtz-Artescienza
Gli individui adulti possono raggiungere una lunghezza di 2 m circa ed un peso di circa 80 100 Kg (Evans,1994). Possiede una corporatura molto affusolata ed elegante… Leggi tutto
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Introduzione
La Sicilia occupa geograficamente una posizione strategica di rilievo in quanto situata al centro del Mar Mediterraneo e rappresenta un luogo ideale e di grande interesse scientifico per l’ avvistamento
dei Cetacei, il recupero delle eventuali carcasse, ed il monitoraggio degli spiaggiamenti che si verificano lungo le coste.
La musealizzazione dei cetacei in Sicilia inizia già alla fine dell’800 anche attraverso l’attività dei musei zoologici universitari (Monterosso, 1924). Purtroppo, per vari motivi legati alle guerre mondiali ed ai trasferimenti delle sedi museali, e non solo, molti reperti importanti sono andati perduti.
I Cetacei rappresentano una miniera d’informazioni di grande stimolo per la ricerca scientifica nonché un importante patrimonio museale. Tali reperti rappresentano una fonte di sensibilizzazione per l’opinione pubblica e per la promozione della tutela di tali specie e di tutto l’ambiente marino.
Nei musei essi sono definiti “animali totem” poiché la loro storia evolutiva li ha portati da mammiferi terrestri a perfetti dominatori dei mari e degli oceani, pertanto costituiscono un ottimo materiale per la divulgazione scientifica e la didattica.
Purtroppo oggi i Cetacei subendo gli effetti diretti e indiretti delle interazioni con le attività antropiche spesso muoiono e/o si spiaggiano lungo le nostre coste. Una carcassa può rappresentare un pericolo per la salute pubblica, un costo per lo sgombero e lo smaltimento ma allo stesso tempo un’importante risorsa per lo studio di questi mammiferi, sui quali c’è ancora tanto da scoprire.
I Cetacei derivano da mammiferi che popolavano la terra ferma circa 65 milioni di anni fa e che hanno attraversato un processo evolutivo molto lungo.
I più antichi resti fossili e concordemente assegnati ai cetacei risalgono all’eurocene medio inferiore (Gaskin, 1982; Bares et al, 1985) e appartengono tutti al sottordine estinto degli Archeoceti.
Gli Archeoceti sono un gruppo di cetacei primitivi comparsi nei nostri mari 50 milioni di anni fa, dopo la contemporanea estinzione dei dinosauri e dei rettili marini e scomparvero circa 30 milioni di anni fa, sostituiti dai due gruppi di cetacei ancora oggi viventi, gli Odontoceti e Misticeti.
Le specie di cetacei note nel Mar Mediterraneo possono essere suddivise in tre categorie (Notarbartolo di Sciara, 1992):
- specie regolari la cui presenza viene verificata con avvistamenti in mare, con eventi di spiaggiamento o con catture accidentali negli attrezzi da pesca;
- specie occasionali di provenienza atlantica che compiono di tanto in tanto sporadiche comparse soprattutto nel Mediterraneo occidentale;
- specie accidentali, la cui comparsa è isolata;
La prima categoria (specie regolari) comprende in tutto otto specie: un Misticeto Balenottera comune, (Balaenoptera physalus) e sette Odontoceti Capodoglio,( Physeter catodon), Zifio ( Ziphius cavirostris), Globicefalo (Globicephala melas), Grampo (Grampus griseus), Tursiope (Tursiops truncatus), Stenella striata ( Stenella coeruleoalba), Delfino comune (Delphinus delphis).
La seconda categoria (specie occasionali) comprende in tutto quattro specie: un Misticeto Balenottera minore ( Balaenoptera acutorostrata) e tre Odontoceti Orca ( Orcinus orca), Pseudorca ( Pseudorca crassidens), Steno (Steno bredanensis).
La terza categoria (specie accidentali) comprende Balena franca boreale (Eubalaena glacialis ), rinvenuta a Taranto nel 1877 e ad Algeri nel 1888; Balenottera boreale (Balaenoptera borealis), la cui comparsa è stata documentata attraverso uno spiaggiamento in Spagna nel 1973, nei pressi del delta dell’Ebro; Megattera (Megaptera novaeangliae), comparsa nel bacino nel 1895, quando un giovane esemplare venne catturato presso Tolone. Nel 1896, quando due esemplari di Megattera furono avvistati a nord di Minorca; un esemplare di Cogia di Owen (Kogia simus), venne ritrovato spiaggiato nel 1988 in Toscana, presso la foce del fiume Chiarone; Mesoplodonte di Blainville (Mesoplodon densirostris), un esemplare spiaggiato in Catalogna nel 1988; Susa indo-pacifica (Sousa chinensis), avvistata nel Porto di Said, presso l’imbarco del Canale di Suez, chiaramente proveniente dal Mar Rosso dove frequentava le acque basse e le lagune costiere; Focena comune (Phocoena phocoena) ,oggi limitata a una popolazione consistente nel Mar Nero, la cui presenza in Mediterraneo fino al secolo scorso sarebbe stata accertata solo lungo le coste catalane e francesi (vedi appendice).
Le specie regolari del Mar Mediterraneo
› Balenottera comune: Ecologia della specie Balaenoptera physalus, conservazione e problematiche
Balaenoptera physalus (Linneaus, 1758) è il più grande cetaceo del Mediterraneo unico rappresentante dei misticeti ed appartiene alla famiglia Balaenoptereide (fig.1 ).
Figura 1 – Balaenoptera physalus (Linneaus, 1758) © Wurtz-Artescienza.
La balenottera comune, dopo la balenottera azzurra è l’animale più grande esistente sul nostro pianeta. Gli esemplari adulti di sesso maschile possono raggiungere rispettivamente i 27 m e 80 t, mentre gli esemplari di sesso femminile i 24 m e 45 t. Per via delle sue notevoli dimensioni la balenottera comune presente nel Mediterraneo può essere confusa solo con il capodoglio, dal quale differisce nettamente per la forma del capo triangolare ed idrodinamico e per il soffio alto e verticale poiché lo sfiatatoio si trova in posizione arretrata; per la presenza della pinna dorsale alta e falcata nel terzo posteriore del corpo; per l’asimmetria nella pigmentazione e infine per il fatto che, dopo il ciclo completo di respirazione prima di immergersi, non estrae la pinna caudale come il capodoglio ma solo in casi rari ed eccezionali.
La balenottera comune si nutre di grandi quantità di prede di piccole dimensioni (crostacei planctonici o piccoli pesci gregari). In Mediterraneo è nota cibarsi in prevalenza di krill Meganyctiphanes norvegica, come evidenziato dai contenuti stomacali analizzati di esemplari spiaggiati (Viale, 1985; Besson et al., 1982). Nel Mar Ligure il krill trascorre le ore di luce a profondità superiori a 1000 m, per poi migrare verticalmente a circa 30-50 m dalla superficie solo durante la notte (Casanova, 1970; Franqueville, 1971); pertanto le balenottere di quell’area hanno sviluppato la capacità di immergersi a profondità di oltre 470 m (Panigada et al., 1999), le massime osservate nella specie e di conseguenza il loro comportamento alimentare non è mai stato osservato in superficie. Durante i mesi invernali, intorno all’isola di Lampedusa è stata osservata cibarsi in superficie dell’eufausiaceo Nyctiphanes cuochi (Canese et al., 2006).
Possiamo quindi dire che la scelta del suo habitat sembra proprio essere influenzata in primo luogo dalla presenza delle sue prede, e quindi dalle condizioni oceanografiche che di tali prede determinano l’habitat, indipendentemente dalla profondità e dalla distanza dalla costa. Infatti è possibile trovare la specie tanto in mare aperto e profondo quanto in zone costiere, baie ed estuari (Sergeant, 1977; Woodley & Gaskin, 1996).
La balenottera comune produce suoni a bassa frequenza per lo più udibili dall’uomo. In questa specie i suoni tipici sono fra i 15 e i 30 Hz ma sono riportati nella letteratura scientifica anche suoni occasionali a frequenze più alte.
E’ noto che le balenottere comuni emettono una varietà di suoni per lo più ad alta intensità, che verosimilmente servono per comunicare a lunga distanza (Watkins, 1981).
La distribuzione della specie interessa principalmente le zone pelagiche, nonostante la sua presenza sulla piattaforma continentale venga riscontrata in diverse zone. In Mediterraneo la balenottera comune rappresenta l’unico misticeto regolarmente presente, anche se in maniera disomogenea, con una maggior frequenza nella porzione occidentale e centrale del bacino rispetto a quella orientale (Notarbartolo di Sciara et al., 2003). In particolare la zona di massima frequenza della specie è compresa tra il Golfo del Leone e il Tirreno centrale (Marini et al.,1992; Notarbartolo di Sciara et al., 1993; Orsi Relini et al.,1994; Forcada et al.,1995,1996; Gannier, 1997; Gannier et al., 2002). Seppure in densità minori, la balenottera comune è avvistata anche in altri settori del Mediterraneo Occidentale, quali il tratto di mare compreso tra Spagna, Marocco e Algeria (Casinos & Vericad, 1976; Casinos & Filella, 1975, 1977; Grau et al., 1980, 1986; Raga et al.,1991; Boutiba, 1994; Franco & Mas, 1994; Viale & Frontier, 1994; Boutiba et al., 1996; Canadas et al., 1999; Borrell et al., 2000).
La maggior parte delle informazioni disponibili sui movimenti di balenottere comuni all’interno del Mediterraneo si riferisce alla sua parte nord-occidentale. Durante i mesi estivi la specie si concentra in una vasta zona compresa tra il Tirreno centro-settentrionale, Mar Ligure occidentale, Mar di Corsica e Golfo del Leone (Duguy e Vallon, 1976; Zanardelli et al, 1992, 1999), con notevole variabilità tra un anno e l’altro. B. physalus è attirata nella zona dalle caratteristiche oceanografiche delle sue acque pelagiche, dove un sistema frontale favorisce una produttività primaria assai superiore alla media delle acque pelagiche oligotrofiche del Mediterraneo (Jacques, 1990). Questa produttività sostiene una consistente biomassa di krill (Orsi Relini, et al.,1994) che rappresenta la fonte primaria di nutrimento per le balenottere di quest’area.
Rispetto agli altri cetacei che vivono in Mediterraneo, sensibili alle interazioni con le attività di pesca, la balenottera comune di rado viene catturata accidentalmente anche nelle reti pelagiche derivanti (Podestà & Magnaghi, 1989; Notarbartolo di Sciara, 1990).
Quindi gli effetti di questa attività antropica sono trascurabili, di contro questa è la specie più coinvolta nelle collisioni con imbarcazioni.
› Capodoglio: Ecologia della specie Physeter macrocephalus, conservazione e problematiche
Physeter macrocephalus (Linneaus, 1758) è il più grande cetaceo odontoceto ed appartiene alla famiglia Physeteridae (fig.2).
Figura 2 – Physeter macrocephalus (Linneaus, 1758) © Wurtz-Artescienza.
Gli esemplari adulti di sesso maschile possono raggiungere rispettivamente i 18,3 m e 57 t, mentre gli esemplari di sesso femminile i 12,5 m e 24 t.
La sua corporatura, squadrata, lo rende inconfondibile, con un capo che è di dimensione circa da 1/3 ad un 1/4 della lunghezza totale del corpo. La colorazione è grigio scuro uniforme. Nella regione della bocca, sia l’esterno della mascella superiore, sia della mandibola, la pelle è spesso bianca o macchiettata. Ogni tanto si sono osservati esemplari che presentavano delle macchie irregolari biancastre. Si sono rilevati rari casi di esemplari albini, uno dei quali è stato avvistato recentemente nelle acque del Mediterraneo.
Lo sfiatatoio è situato sull’estremità sinistra e questo consente una facile identificazione perché il soffio risulta obliquo in direzione della superficie del mare. E’ provvisto di una piccola pinna dorsale bassa e arrotondata seguita da una serie di gibbosità minori.
Il capodoglio quando sta per immergersi per un’immersione profonda di solito estrae la pinna caudale dall’acqua, abitudine praticamente unica rispetto agli altri cetacei del Mediterraneo; si noti che in casi eccezionali anche la Balenottera comune estrae la pinna caudale dall’acqua.
Per quanto riguarda l’alimentazione, il capodoglio si nutre con prevalenza di cefalopodi mesopelagici ed anche di pesci, seppure in frazione minore. Generalmente preda specie molto grandi (lunghezza mantello superiore ad 1 m), quali Moroteuthis, Dosidicus, Mesonychoteuthis, Taningia, e i giganteschi Architeuthis, tuttavia gran parte della dieta dei capodogli si basa su specie di taglia inferiore. La frazione ittica della dieta comprende per lo più specie demersali (Rice, 1989).
Relativamente alle abitudini alimentari ed all’analisi dei contenuti stomacali dei capodogli del Mediterraneo vi sono pochi dati, che però evidenziano una netta predominanza nella dieta di Histioteuthis bonellii (Roberts, 2003; Parca et al., 2009; Mazzariol et al., 2011; Garibaldi & Podestà, 2014).
Le tecniche di cattura dei cefalopodi da parte dei capodogli non sono mai state osservate. Informazioni derivanti dall’utilizzo di dispositivi digitali (D-Tags) applicati a esemplari nel Mar Ligure, Golfo del Messico ed Oceano Atlantico indicano profondità di immersione comprese tra 650 circa e 1000 m, con una durata media di circa 45 minuti (Watwood et al., 2006).
L’habitat prediletto dal capodoglio nel Mediterraneo consiste principalmente nella porzione profonda della scarpata continentale, in acque che in media raggiungono i 1500 m di profondità, dove sono più abbondanti i cefalopodi mesopelagici, che sono le prede preferite di questi mammiferi (Azzellino et al., 2008, Praca & Gannier, 2008). In altre circostanze si possono trovare vicino alla terraferma in punti dove la piattaforma continentale è stretta e il fondale scende scosceso vicino alla costa, oppure percorrendo stretti che mettono in comunicazione bacini profondi, come ad esempio lo Stretto di Messina. Vi è una parziale sovrapposizione di habitat tra il capodoglio e altre due specie di odontoceti teutofagi, il grampo e lo zifio, che ha portato a ipotizzare l’esistenza di competizione alimentare tra il capodoglio e le altre due specie.
In superficie, se indisturbati, i capodogli nuotano generalmente a bassa velocità, emettendo 5-6 soffi al minuto. Al termine della frequenza respiratoria estraggono verticalmente la coda dall’acqua e si immergono nuovamente. La struttura sociale del capodoglio si articola intorno a due tipi di raggruppamenti. Le femmine adulte costituiscono gruppi familiari insieme ai loro piccoli, denominati “unità sociali” (Whitehead, 2003), in Mediterraneo formati da 10-12 esemplari (Gannier al., 2002). I maschi si separano dall’unità sociale di nascita all’insorgere della pubertà, tra i 15 e 21 anni, e formano assembramenti di “scapoli”, di dimensioni e dieta simili. Con il passare del tempo il numero dei componenti di questi gruppi di maschi diminuisce ed i grandi maschi adulti sono in genere solitari.
Il repertorio vocale del capodoglio consiste in primo luogo in una serie di suoni ad impulsi,
denominati click, con funzione sia di ecolocalizzazione, sia di comunicazione (Whatkins & Schellvill, 1977).
Nel Mediterraneo il capodoglio è presente ovunque, con aree di maggior concentrazione nello Stretto di Gibilterra, nel Mare delle Baleari, nel bacino algero-provenzale-ligure e nella Fossa Ellenica.
Nell’Adriatico settentrionale e nello stretto di Sicilia la presenza è accidentale.
Nel Mediterraneo, l’impiego delle reti pelagiche derivanti per la cattura dei grandi pelagici ha causato grandi livelli di mortalità dei capodogli e con ogni probabilità insostenibili, fin dalla metà degli anni ’80 (Notarbartolo di Sciara, 1990; International Whale Commision, 1994). Tale mortalità è tuttora in atto, essendo questo tipo di pesca ancora utilizzato, nonostante la sua illegalità, sia nel bacino occidentale che in quello orientale.
› Zifio: Ecologia della specie Ziphius cavirostris, conservazione e problematiche
Ziphius cavirostris (G. Cuvier, 1823) è un cetaceo odontoceto che appartiene alla famiglia Ziphiidae (fig 3).
Figura 3 – Ziphius cavirostris (G. Cuvier, 1823) © Wurtz-Artescienza.
Gli esemplari adulti raggiungono circa i 6 m di lunghezza e le 3 t di peso; la pinna dorsale ha una forma piccola, triangolare e più o meno falcata ed è situata nel terzo posteriore del corpo. La livrea è molto variabile e dipende dall’età e dal sesso. I neonati e i giovani sessualmente immaturi sono di colore uniforme grigio scuro o bruno con il ventre leggermente più chiaro. Negli adulti invece la livrea va dal color grigio ardesia a bruno, con una regione più scura che circonda l’occhio ed il corpo ricoperto da graffi e cicatrici che sono causate dai denti durante le interazioni tra maschi.
Tali cicatrici e graffi variano da individuo ad individuo e sono elementi presi in analisi per la foto-identificazione degli individui.
Lo Zifio è prevalentemente un cetaceo teutofago ed occasionalmente ittiofago (Santos et al., 2001; MacLeod et al., 2003). I contenuti gastrici raccolti e descritti da esemplari spiaggiati sulle coste italiane sono molto scarsi (Podestà & Meotti,1991; Carlini et al., 1992; Orsi Relini & Garibaldi, 2005). I contenuti stomacali prelevati dagli unici due esemplari di altre zone del Mediterraneo (Lefkaditou & Pouolopoulos, 1998; Blanco & Raga, 2000) confermano una dieta teutofaga con predilezione per gli istioteutidi.
Questa specie predilige le acque profonde insieme agli habitat di scarpata continentale profonda. Dati raccolti durante gli avvistamenti in Mar Ligure, hanno rilevato che il cetaceo predilige aree con un profondità superiore ai 1000 m ed una elevata pendenza dei fondali (Azzellino et al., 2008, 2001; Moulinis et al., 2007).
Per mezzo delle tecnologie impiegate nello studio dei cetacei degli ultimi decenni è stato possibile aumentare le conoscenze sulle abitudini degli zifi (Tyack et al., 2006). I dati ottenuti sulle immersioni e sulla acustica sono stati ottenuti studiando lo zifio nelle acque italiane del “santuario Pelagos” (Johnson et al., 2004; Tyack et al., 2006).
Oggi sappiamo che gli zifi riescono a raggiungere profondità di circa 2992 m, restando in apnea per più di due ore (Baird et al., 2006; Schorr et al., 2014).
È stato possibile attraverso l’impiego dei D-TAG (un piccolo registratore che si applica sul dorso degli animali in modo non invasivo, mediante ventosa (Johnson & Tyack, 2003)), apprenderne l’acustica. Gli zifi, durante le immersioni profonde, emettono click ad alta frequenza dopo i 450 metri di profondità. In superficie gli animali sono silenziosi.
La specie è diffusa in tutto il Mediterraneo. Fino a pochi anni fa la conoscenza della specie si basava sulla distribuzione degli spiaggiamenti segnalati in: Albania, Algeria, Croazia, Egitto, Francia, Grecia, Israele, Italia, Malta, Spagna e Turchia (Podestà et al., 2006, 2009). Nel 25% dei casi coinvolgevano 3 o più esemplari (Podestà et al., 2006; Cozzi et al., 2011). In Italia, il maggior numero di spiaggiamenti si è verificato lungo le coste della Liguria e del mar Ionio.
Come tutte le specie, gli zifi sono molto sensibili all’inquinamento acustico che risulta una grande minaccia per questa specie. Infatti si è riscontrato che in aree dove vi sono state delle esercitazioni militari con sonar militari o altri suoni ad alta energia a partire dagli anni ’60 vi sono stati spiaggiamenti atipici. Un’altra minaccia di morte per lo zifio è l’interazione con le attività di pesca, visto l’habitat prescelto spesso la specie è soggetta a catture accidentali con le reti derivanti pelagiche (Notarbartolo di Sciara, 1990; Podestà & Bortolotto, 1997), tuttora utilizzate illegalmente nel Mediterraneo.
› Globicefalo: Ecologia della specie Globicephala melas, conservazione e problematiche
Globicephala melas (Trail, 1809) è un cetaceo odontoceto che appartiene alla famiglia Delphinidae (fig 4).
Figura 4 – Globicephala melas (Trail, 1809) © Wurtz-Artescienza.
Rappresenta uno dei delfini di di maggiori dimensioni e caratterizzato da un notevole dimorfismo sessuale, infatti gli esemplari maschi possono raggiungere i 6 m circa di lunghezza e superare le 2 t di peso, mentre gli esemplari di sesso femminile sono leggermente più piccoli, in quanto solitamente raggiungono i 5 m di lunghezza e il loro peso si aggira intorno ad 1 t.
La sua forma esterna risulta inconfondibile, con un corpo allungato e un capo molto globoso a cui si deve il nome. Sotto il melone è presente un rostro di piccolissime dimensioni. La pinna dorsale si trova in posizione mediano-avanzata caratterizzata da una base maggiore rispetto all’altezza, un margine posteriore assai concavo, il cui apice può talvolta arrotondarsi e incurvarsi all’indietro.
Le pinne pettorali appaiono lunghissime e sottili, appuntite a forma di falce allungata. Il peduncolo caudale è fortemente compresso lateralmente e negli individui più grandi presenta prominenti convessità sia dorsalmente che ventralmente.
La livrea è caratterizzata da un colore nero ebano e può apparire anche marrone scuro a seconda delle condizioni di luce. I piccoli alla nascita sono nettamente più chiari ed inoltre sono stati segnalati rari casi di albinismo. Negli adulti è presente una caratteristica macchia sul petto e sul ventre di colore più chiaro, dal grigio al bianco, a forma di ancora con le marre allargate simmetricamente sotto il mento, e il fuso proteso in direzione caudale allargato e sfumato nella zona genitale. Spesso è presente negli esemplari oceanici ma non osservabile in Mediterraneo una sella di colore grigio chiaro dietro la pinna dorsale simile a quella dell’Orcinus orca.
Il globicefalo è prevalentemente teutofago (Bernad & Reilly, 1999) con una dieta assai varia, come da analisi effettuate sugli stomaci di globicefali del Nord Atlantico e Mediterraneo che hanno rilevato una determinata preferenza di taxa di cefalopodi appartenenti alle famiglie Ommastrephidae, Brachioteuthidae, Enoploteuthidae, Histioteuthidae, Cranchiidae, Gonatidae, Loliginidae, Sepiloidae, Sepiidae, Octopodidae (Orsi Relini & Garibaldi, 1992). Nel Nord Atlantico si nutre anche, ma in minore quantità, di pesci (Olson, 2009). In Mediterraneo, la predazione di specie ittiche non è stata segnalata, nonostante i cambiamenti di dieta in base alla stagione, evidenziati con il metodo degli isotopi stabili utilizzato da De Stephanis et al. (2008b) nella zona dello Stretto di Gibilterra.
La specie predilige tanto l’ambiente costiero, quanto l’ambiente pelagico, in acque temperato-fredde e subpolari(da 0 a 20°C), infatti nelle acque tropicali cede il passo al globicefalo di Gray. Nel bacino del Mediterraneo predilige acque profonde di mare aperto oltre la scarpata continentale (Notarbartolo di Sciara et al., 1993, Raga & Pantoja 2004, Canadas et al., 2005, Azzellino et al., 2008a). L’habitat preferito comprende prevalentemente acque con profondità media dagli 850 m nel mare di Alboran (Canadas et al., 2005) agli oltre 2000 m in Mar Ligure (Notarbartolo di Sciara et al.,1993).
E’ un cetaceo fortemente gregario infatti vive in gruppi molto numerosi, talvolta costituiti da centinaia di esemplari. Le dimensioni medie dei gruppi nel Mediterraneo vanno da una media di 30 esemplari nel Mar di Alboran (Canadas et al., 2005) a 11 a largo della costa spagnola (Raga & Pantoja, 2004) e 10 nel Mediterraneo centrale (Notarbartolo di Sciara et al., 1993).
Le dimensioni medie di 32 gruppi in Mar Ligure, riferiscono Podestà-Magnaghi nel 1988, erano di circa 16 esemplari. Avvistamenti di gruppi di più di 100 individui in Mar Ligure e Mar di Corsica negli anni ‘70 (Vallon et al., 1976) non si sono mai più ripetuti negli anni recenti. In uno studio di lungo termine (1999-2006) condotto nello Stretto di Gibilterra su una popolazione stimata di 126 esemplari, De Stephanis et al. (2008a) riscontrarono che i globicefali erano suddivisi in 8 unità sociali (clans), stabili nel tempo, ognuna delle quali composta da un certo numero di gruppi (pods); i gruppi a loro volta erano formati da unità matrilineari, simili a quelli osservati nelle orche.
In alcuni casi, i globicefali si trovano spesso in gruppi misti con altre specie in particolare con i tursiopi (Olson, 2009). In Mediterraneo sono stati osservati assumere un comportamento aggressivo nei confronti del capodoglio (Notarbartolo di Sciara et al., 1993) e dello zifio (A.Canadas).
In Mediterraneo si trova regolarmente solo nel bacino occidentale: nello Stretto di Gibilterra, Mare di Alboran e Golfo di Vera (Canadas & Sagarminaga 2000; Raga Patntoja 2004; Verborgh 2005); non è molto frequente nelle acque algerine (Boutida, 1994), tunisine (Lotfi et al., 1997), francesi (Gannier, 2005) e in Mar Ligure (Podestà & Magnaghi, 1988b; Azzellino et al., 2008a). Tenendo in considerazione i dati relativi agli spiaggiamenti, nelle acque del Tirreno, era probabilmente frequente in passato (Carruccio, 1904; Police, 1909; Tamino, 1953a); oggi la sua frequenza in quel mare è molto bassa (Notarbartolo di Sciara et al., 1993). Mussi et al. (2000) affermano che vi è stato un gruppo di 6 esemplari identificati individualmente, da loro regolarmente avvistato nell’Arcipelago Pontino tra il 1995 ed il 1999.
E’ una specie molto sensibile alle attività antropiche tra cui la caccia, le catture accidentali negli attrezzi da pesca e la contaminazione da inquinanti. Entrambe le specie del genere Globicephala sono frequentemente soggette ad imponenti fenomeni di spiaggiamento di massa in cui talvolta, anche centinaia di esemplari finiscono tutti insieme su una spiaggia con conseguenze di altissima mortalità. La causa di questi fenomeni è ancora oggi difficile da spiegare considerando che gli animali coinvolti appaiono per lo più in buono stato di salute. Si potrebbero ipotizzare cause collegabili al forte istinto gregario della specie, quali: errori di navigazione in acque basse, correnti ed altre cause; disorientamento dovuto al campo magnetico terrestre; rifiuto di abbandonare un compagno debilitato (Olson, 2009) o disorientamento provocato da sonar militari.
In Mediterraneo non sono noti eventi di spiaggiamenti di massa, mentre le cause di morte anche per questa specie sono collegate alle interazioni con le attività di pesca soprattutto con le reti derivanti (Olson, 2009; Northridge, 1984; Podestà & Magnaghi, 1989; Notarbartolo di Sciara, 1990), collisioni con imbarcazioni, esposizione ad inquinanti ambientali ed inquinamento acustico dovuto al traffico nautico ed all’interferenza con sonar militari.
› Grampo: Ecologia della specie Grampus griseus, conservazione e problematiche
Grampus griseus (G. Cuvier, 1812) è un cetaceo odontoceto che appartiene alla famiglia Delphinidae (fig 5).
Figura 5 – Grampus griseus (G. Cuvier, 1812) © Wurtz-Artescienza.
Gli individui adulti possono raggiungere una lunghezza di 3-4 m ed un peso di circa 500-600 kg, senza avere un dimorfismo di genere significativo.
La livrea del Grampo è talmente peculiare da costituire il carattere di maggior aiuto nell’identificazione della specie. Gli esemplari adulti sono fortemente segnati per lo più da striature superficiali, causate dalle interazioni con i conspecifici. La depigmentazione può perdurare, e può rappresentare un elemento fondamentale per la foto-identificazione degli individui. La pigmentazione dei piccoli alla nascita varia dal grigio al marrone, ma crescendo gli esemplari scuriscono diventando grigio piombo. Man mano che crescono accumulano su gran parte del corpo i caratteristici segni biancastri a rastrello, oltre a macchie circolari e graffi. Gli individui adulti tendono a schiarire con l’età e gli individui più vecchi possono apparire quasi completamente bianchi. La colorazione del ventre riporta, dalla regione golare a quella genitale, una chiazza simmetrica a forma di ancora che ritroviamo sia nel Globicefalo sia nella Pseudorca, ma quella del Grampo è notevolmente più sbiadita (Bearzi et al., 2010).
Il Grampo emette soprattutto click, e più raramente brevi fischi. I click, oltre che per le funzioni di ecolocalizzazione (Phillips et al., 2003; Madsen et al., 2004), sono destinati alla comunicazione .
Per quanto riguarda l’alimentazione, il Grampo si nutre prevalentemente di cefalopodi con una particolare preferenza per i calamari mesopelagici (Clarke, 1996; Kruse et al., 1991), ma non disdegna alcune specie di teleostei. La nutrizione avviene prevalentemente nelle ore notturne.
Il Grampo vive dalle regioni tropicali a quelle temperate ed in entrambi gli emisferi (Leatherwood et al., 1980; Jefferson et al., 1993; Kruse et al., 1999; Taylor et al., 2008c). Fluttuazioni stagionali nella distribuzione e nel numero di animali sembrano essere associate a cambiamenti nella disponibilità di prede e alla temperatura delle acque (Kruse et al.,2006).
Il Grampo vive in prevalenza sulla scarpata continentale e in acque oceaniche profonde.
Si è visto che è più comune in prossimità della sezione superiore e più scoscesa della scarpata continentale, così come intorno alle montagne sommerse, alle scarpate e alle zone con topografia del fondale accentuata, a qualsiasi distanza dalla costa. Fenomeni di upwelling e miscelazione fra acque costiere e oceaniche nella porzione superiore della scarpata continentale aggregano zooplancton e micronekton, creando condizioni che attraggono una notevole varietà di cefalopodi, prede preferite dal cetaceo, tra cui i calamari, che vivono nelle profondità delle acque oceaniche (Kruse et al., 1999; Yen et al., 2004). Anche nel Mar Mediterraneo il Grampo preferisce pendii ripidi e canyon sottomarini (Canadas et al., 2002; Gannier, 2005; Moulins et al., 2008).
Alcuni dati di foto-identificazione suggeriscono movimenti relativamente ampi ma non escludono un certo grado di fedeltà a determinate aree (Canadas & Sagarminaga, 1997; David & Di Meglio, 1999; Casacci & Gannier, 2000; Mussi & Miragliuolo, 2003; Airoldi et al., 2005; Mariani et al., 2010).
Per quanto riguarda la struttura sociale, i Grampi formano gruppi mediamente formati da circa 30 individui, anche se talvolta sono stati osservati anche gruppi di 100 individui (Kruse et al., 1999).
La formazione di questi gruppi numerosi avviene in risposta alla risorsa alimentare molto abbondante e concentrata. A livello mondiale, i Grampi sono stati osservati in associazione ad un gran numero di altre specie (Wursing & Wursing, 1980; Baird & Stacei, 1991; Kruse et al., 1999; Hartman et al., 2008; Pereria, 2008). Nel Mediterraneo invece le associazioni con altre specie di Cetacei sono poco comuni.
Le minacce per la specie Grampus griseus nel Mediterraneo sono essenzialmente le stesse che affliggono i Cetacei in tutti i mari del mondo (Cañadas, 2006), esasperate a causa della dimensione del bacino e della forte urbanizzazione. Le cause che determinano la morte e il conseguente spiaggiamento delle carcasse lungo le coste sono al centro di un dibattito aperto che dura ormai da molti decenni. Le teorie sono varie, ma si può con ragionevole prudenza affermare che tale evento può essere provocato di volta in volta da cause diverse, singole o combinate. Lo spiaggiamento, difatti, può essere dovuto a morte avvenuta per cause naturali o a morte causata dall’impatto dell’uomo sull’ecosistema marino.
Le principali minacce per il grampo nel Mediterraneo sono: il traffico nautico, lo sfruttamento incontrollato delle risorse naturali (Pauly et al., 2002), la distruzione meccanica di habitat (Schwinghamer et al., 1996), l’inquinamento acustico (Gordon e Tyack, 2001) e chimico (Aliani et al., 2003), il riscaldamento globale (Robinson et al., 2005), l’interazione di attività di pesca (Buscaino et al., 2014; Buffa et al., 2015), oltre a catture accidentali ed uccisioni intenzionali (Buffa et al., 2015).
› Tursiope: Ecologia della specie Tursiops truncatus, conservazione e problematiche
Tursiops truncatus (Montagu, 1821) è un cetaceo odontoceto che appartiene alla famiglia Delphinidae (fig 6).
Figura 6 – Tursiops truncatus (Montagu, 1821) © Wurtz-Artescienza.
Le caratteristiche morfologiche del tursiope variano in relazione all’area geografica in cui vive. Nel Mediterraneo gli individui adulti possono raggiungere una lunghezza di 2-3 m ed un peso di circa 150-180 kg e oltre (fino a 300 kg).
Il tursiope non presenta un dimorfismo di genere accentuato.
Presenta una corporatura relativamente tozza ma nonostante ciò è un delfino agilissimo in grado di raggiungere oltre i 20 nodi di velocità e capace di salti e di compiere evoluzioni acrobatiche .
In natura può essere confuso con lo steno, delfino comune o la stenella striata. Queste ultime due specie si presentano di dimensioni ridotte e con colorazione più vivace ed emersioni più rapide.
Diversamente dagli altri delfini, il tursiope non presenta le striature marcate ma la sua colorazione è piuttosto omogenea. Il dorso porta sfumature dal grigio fumo al grigio chiaro, ma in mare gli animali possono prendere varie tonalità di grigio o di marrone in base alle condizioni di luce.
Le dimensioni dei gruppi di tursiopi variano a seconda dell’aria biogeografica, alla disponibilità di prede, al comportamento e ad altri fattori. La maggior parte delle osservazioni del Mediterraneo riguarda gruppi composti da meno di 10 individui (Bearzi et al., 2008c). Le associazioni con altre specie non sono molto comuni, anche se in alcune zone sono stati osservati gruppi misti con delfini comuni (Notarbartolo di Sciara et al., 1993; Bearzi & Notarbartolo di Sciara, 1995; Canadas et al., 2002; Bearzi et al., 2003) e globicefali (Canadas et al., 2002; de Stephanis et al., 2008a). Altra caratteristica, di queste specie, comune alla maggior parte dei cetacei, è il sonno uniemisferico monoculare, cioè gli animali “riposano” un emisfero alla volta e contemporaneamente chiudono l’occhio controlaterale. Questo consente ai tursiopi di svolgere determinate attività che durante il sonno non potrebbero altrimenti svolgere come nuotare, emergere periodicamente per la respirazione e tenere uno stato minimo di vigilanza contro minacce, quali quelle dei predatori. Questo comportamento vede talvolta più animali coinvolti in maniera coordinata, frequentemente madre e piccolo, tenendo aperto l’occhio rivolto al compagno, al fine di aumentare il livello di vigilanza (Gnone et al., 2006).
Un tratto tipico della specie è l’opportunismo alimentare e la capacità di sviluppare nuove strategie alimentari in funzione delle risorse disponibili. E’ noto anche il comportamento opportunista sulle reti a strascico, sulle reti da posta e in prossimità delle gabbie di itticoltura.
In Mediterraneo, sono stati avvistati spesso individui solitari e “socievoli” (Lockyer,1990), che abbandonano per vari motivi il loro gruppo di appartenenza per stabilirsi in baie o porti dove possono interagire con l’uomo. Seppure alcuni esemplari riescano a sopravvivere per diversi anni, queste situazioni purtroppo spesso portano alla morte del cetaceo.
La predazione da parte di squali è una causa di mortalità importante per la specie ed altri piccoli cetacei che vivono in varie parti del mondo. Nel Mediterraneo invece questo fenomeno è considerato una causa di mortalità poco comune, anche se non ignota (Morey et al., 2003) forse anche perché nel Mediterraneo è drasticamente diminuito nell’ultimo secolo il numero di squali e quindi anche il rischio di predazione.
Grazie alla facilità con cui viene mantenuto in cattività, il tursiope è una specie molto studiata sia dal punto di vista comportamentale sia vocale. Questo ha fatto sì che per quanto riguarda i vocalizzi diventasse il prototipo per lo studio dell’ ecolocalizzazione degli Odontoceti.
La specie utilizza un segnale modulato distintivo, che varia da individuo a individuo, chiamato “fischio firma” (Essapain, 1953; Caldwell & Caldwell, 1965;Caldwell & Caldwell, 1968). I fischi firma si distinguono tra i diversi individui per la differente modulazione della frequenza; tale profilo caratteristico si consolida nel primo anno di vita dell’individuo e resta pressoché invariato per il resto della sua esistenza (Caldwell et al.,1990; Sayigh et al., 2007; Gnone e Moriconi, 2009). Tipicamente il fischio firma viene utilizzato come segnale per il riconoscimento individuale nel rapporto madre-piccolo, attraverso un meccanismo di imprinting acustico (Essapain, 1953; Caldwell & Caldwell,1968; Gnone et al., 2010) e come strumento per coordinare il comportamento di allattamento (Gnone e Moriconi, 2009). La sua funzione tuttavia non si esaurisce con lo svezzamento e il fischio firma viene utilizzato anche tra gli individui adulti, probabilmente con la medesima funzione di riconoscimento. Il tursiope è uno dei cetacei che si incontra più frequentemente nelle acque costiere del Mediterraneo (Podestá e Magnaghi, 1998; Notarbartolo di Sciara et al., 1993; Gnone et al., 2005; Bearzi et al., 2008). Molte delle zone del Mediterraneo abitate da questi delfini sono soggette a intensa interazione antropica, come gli stretti di Gibilterra Bonifacio e Messina, e i golfi di Lione, Genova e Trieste. Inoltre nello studio della loro distribuzione è stata documentata la presenza di zone con bassissima densità di animali come ad esempio nel Mar Ligure nord-occidentale e nel golfo di Vena nord-occidentale (Spagna). Probabilmente la differenza di densità di popolazione sono determinate da fattori quali le caratteristiche dell’habitat, la disponibilità di prede e la natura gregaria di questi animali. Secondo uno studio che ha utilizzato il numero di tursiopi spiaggiati sui litorali italiani, per stimare l’abbondanza della specie è emerso che nella fascia costiera, in corrispondenza delle zone dove la piattaforma continentale è più ampia, il tursiope è più numeroso rispetto ai tratti di costa caratterizzati da una piattaforma esigua (Gnone et al., 2005).
A causa della loro preferenza per le acque costiere e poco profonde i tursiopi sono esposti ai pericoli dell’attività antropica.
› Stenella: Ecologia della specie Stenella coeruleoalba, conservazione e problematiche
- Stenella coeruleoalba (Meyen, 1833) è un cetaceo odontoceto che appartiene alla famiglia Delphinidae (fig 7).
Figura 7 – Stenella coeruleoalba (Meyen, 1833) © Wurtz-Artescienza.
La stenella striata è un delfino con il corpo siluriforme. Gli individui adulti nel Mediterraneo possono raggiungere una lunghezza di 2 m (oceanici fino a 2,5 m) ed un peso di circa 80-120 kg.
Come morfologia esterna non si rilevano differenze tra i sessi se non una dimensione leggermente maggiore dei maschi.
La sola forma del corpo, a distanza, potrebbe farla confondere in Mediterraneo con il delfino comune, Delphinus delphis (Linneaus, 1758), che però presenta il rostro più affusolato e leggermente più lungo in proporzione al capo, al contrario del tursiope, Tursiops truncatus (Montagu, 1821), che si presenta con forme più massicce e raggiunge dimensioni maggiori, con un rostro più corto e tozzo. Ben distinta è la colorazione dei fianchi di colore grigio scuro sul dorso diventa più chiaro sui fianchi e quasi bianco ventralmente; inoltre le parti del capo e del torace sono più scure rispetto all’area dorsale e posteriore alla pinna dorsale. La colorazione dei fianchi rappresenta l’elemento diagnostico per il riconoscimento a distanza ravvicinata.
Le dimensioni del cranio sembrano variare all’interno della specie in funzione della distribuzione geografica, con una sequenza che vede gli esemplari del Mediterraneo come i più piccoli, seguiti da quelli dell’oceano Pacifico orientale, da quelli dell’Atlantico e infine da quelli del Pacifico occidentale (Archer, 1996).
Nelle popolazioni Atlantiche è presente un dimorfismo sessuale del rostro che è più largo nei maschi (Archer, 1996).
La Stenella striata emette fischi modulati la cui frequenza è compresa fra pochi kHz e oltre 20 kHz (Oswald et al., 2007), nonché click di eco-localizzazione con maggiore energia, fra 40 kHz e 150 kHz. Sembra sia in grado di produrre simultaneamente sia fischi che click. Emette di frequente rapide sequenze di click che appaiono tonali all’orecchio umano.
I fischi modulati appaiono spesso frequenze con forme identiche, il che fa pensare che ciascun individuo abbia un proprio fischio firma come i tursiopi, con una forma di modulazione costante e riconoscibile, e altre tipologie di fischi variabili in funzione del contesto.
Per quanto riguarda la predazione, la Stenella ha un’alimentazione molto varia e ben adattata alla disponibilità di prede disponibili nelle varie zone e periodi dell’anno. Si nutre infatti di cefalopodi, pesci ossei e di crostacei.
La maggior parte delle prede è munita di organi bioluminescenti e compie migrazioni verticali diurne, facendo ipotizzare che le stenelle si immergano anche fino a 500 – 700 m di profondità per alimentarsi.
Questa specie è ampiamente distribuita nelle acque temperate e tropicali di tutto il mondo (Archer & Perrin 1999). Attualmente è il delfinide più abbondante del Mediterraneo e delle acque italiane, fatta eccezione per l’Adriatico settentrionale e per le acque poco profonde dello Stretto di Sicilia. E’ molto comune nella parte occidentale e centrale del Mediterraneo, la sua presenza è meno importante nel bacino orientale ed è assente dal Mar di Marmara al Mar Nero (Notarbartolo di Sciara et al., 1993; Forcada et al., 1995; Forcada & Hammond, 1998; Frantzis et al., 2003; Gannier, 2005). Si ritiene invece che fino alla prima metà del XX secolo la situazione fosse invertita a favore del delfino comune, di cui risultano numerosi i reperti museali risalenti a quegli anni.
Numerosi studi sono stati condotti sulla struttura di popolazione della Stenella striata. In particolare uno studio condotto da Archer nel 1996, che prese in considerazione 5 popolazioni di Stenella striata (Pacifico occidentale ed orientale, Atlantico occidentale ed orientale e Mediterraneo occidentale), ha dimostrato la presenza di variazioni geografiche basate su caratteristiche morfologiche e scheletriche, evidenziando anche differenze tra parametri riproduttivi e abitudini alimentari.
Gli esemplari mediterranei sono risultati più piccoli rispetto agli esemplari delle altre zone considerate. Analisi del DNA mitocondriale suggeriscono una differenziazione genetica significativa tra la popolazione presente nel Mediterraneo e quelle dell’Atlantico e del Pacifico (Garcia-Marines, et al.,1999; Bourret te al.,2007), dove quella del Mediterraneo risulta avere un’inferiore variabilità genetica ed un parziale isolamento riproduttivo. In seguito nel 2007, Gaspari e colleghi, hanno condotto uno studio sulla struttura filogeografica e le associazioni di parentela della stenella nel Mediterraneo, confermando la differenziazione genetica tra la popolazione del Mediterraneo e quella dell’oceano Atlantico sia a livello del DNA mitocondriale sia a livello di DNA nucleare. Inoltre confrontando popolazioni adriatiche, tirreniche e spagnole, è stata osservata una differenziazione genetica significativa, confermando così la presenza di una struttura di popolazione all’interno del bacino del Mediterraneo.
Nonostante il fenomeno delle uccisioni intenzionali di cetacei in Mediterraneo, e soprattutto in Italia, sia una triste realtà che appartiene al passato, è ancora possibile rinvenire, tra i cetacei spiaggiati, esemplari (in prevalenza stenelle striate) verosimilmente deceduti perché deliberatamente feriti, specialmente mediante arma da fuoco (Cagnolari & Notarbartolo di Sciara, 1992).
Nel Mediterraneo questa specie è molto sensibile alle catture accidentali a causa delle interazioni con le attività di pesca rimanendo facilmente impigliata nelle reti pelagiche derivanti per la pesca del pesce spada (Magnaghi & Podestà, 1987; Podestà & Magnaghi, 1989; Notarbartolo di Sciara, 1990), in particolare durante gli ultimi due decenni del secolo scorso quando questo tipo di pesca veniva utilizzato massivamente causando un’ingente mortalità per la specie, che contemporaneamente era stata anche colpita da un’epizoozia di morbillivirus.
Dal 2002, anno in cui le reti pelagiche derivanti divennero illegali in Mediterraneo, questa specie ha continuato ad essere vittima di catture accidentali in questo attrezzo di pesca, su base illegale (Tudela et al., 2005; Fortuna et al., 2007), ma in misura minore rispetto al passato.
› Delfino comune: Ecologia della specie Delphinus delphis, conservazione e problematiche
- Delphinus delphis (Linneaus, 1758) è un cetaceo odontoceto che appartiene alla famiglia Delphinidae (fig 8).
Figura 8 – Delphinus delphis (Linneaus, 1758) © Wurtz-Artescienza.
Gli individui adulti possono raggiungere una lunghezza di 2 m circa ed un peso di circa 80 100 Kg (Evans,1994). Possiede una corporatura molto affusolata ed elegante.
Secondo lo studioso Tomilin (1957), la specie presenta, tra l’altro, un dimorfismo sessuale nella morfometria del cranio, con valori maggiori nei maschi.
Il nuoto è aggraziato e rapido. Compie immersioni che non superano i due minuti (Bearzi et al., 2005). Può essere confuso con la Stenella striata, ma si differenza da questa grazie alla peculiare colorazione giallo ocra del torace e al disegno a clessidra dei fianchi. In alcune zone del Mediterraneo i delfini comuni possono vivere in gruppi misti insieme alle Stenelle striate, e in tali circostanze non è facile distinguere gli individui delle due specie.
Nel Mediterraneo il delfino comune è presente sia in ambiente pelagico sia in ambiente costiero, a seconda delle zone (Bearzi et al., 2003). Nel settore occidentale sembrerebbe prediligere le acque della scarpata continentale, mentre nel settore orientale lo si trova anche in acque poco profonde.
In base all’habitat e alla disponibilità di prede il delfino comune vive in gruppi di dimensioni variabili, generalmente i gruppi più piccoli sono quelli che vivono in ambienti costieri mentre quelli più numerosi sono tipici delle aree pelagiche o di scarpata. Negli ambienti di scarpata spesso i delfini comuni sono associati con le Stenelle striate.
L’acustica di questa specie è molto simile a quella della Stenella striata con emissioni di fischi modulati (Oswald et al., 2007) le cui frequenze vanno da pochi KHz a oltre 20 KHz e click di ecolocalizzazione che si estendono oltre i 100 KHz.
Il delfino comune un tempo era molto abbondante nel Mediterraneo dove era stato uno dei cetacei più numerosi forse fino agli anni 60-70. La specie ha quindi subito un rapido declino.
Oggi la specie sopravvive in poche aree. Il delfino comune è ancora presente lungo le coste di Sardegna Corsica (Notarbartolo di Sciara et al.,1993; Gannier, 2005; Lauriano & Notarbartolo di Sciara, 1995), nel sud-est del Mar Tirreno e al largo di Ischia (Mussi et al., 2002), nello Stretto di Sicilia (Arcangeli et al., 2001; Zandrelli et al., 2002), nelle acque di Malta (Vella, 1998,1999, 2002), nelle acque della Grecia Ionica (Frantzis et al., 2004; Bearzi et al., 2005, 2008a).
Le uccisioni intenzionali di delfini comuni hanno costituito la causa di mortalità più importante fino agli anni 60 (Bearzi et al., 2004a). Oggi le principali minacce comprendono mortalità accidentale negli attrezzi da pesca (bycatch), ridotta disponibilità di prede causata della pesca eccessiva e dal degrado ambientale. Tra le possibili cause del declino del delfino comune in Mediterraneo è stata proposta la competizione con le Stenelle striate (Casinos, 1982; Viale, 1985; Di Natale, 1987; Perrin, 1988; Cagnolaro & Notarbartolo di Sciara, 1992; Sagarminaga & Canadas, 1995). È stato quindi ipotizzato che quest’ultima specie, apparentemente aumentata di numero negli ultimi decenni nel Mediterraneo occidentale (Aguilar, 2000), abbia progressivamente occupato la nicchia ecologica del delfino comune (Viale, 1985). Studi condotti sulla Stenella striata del Mediterraneo hanno portato come risultato che questa risulta geneticamente diversa dagli esemplari del nord-est Atlantico, smentendo quindi l’ipotesi che i delfini comuni del Mediterraneo siano diminuiti a causa di Stenelle striate provenienti dall’Oceano Atlantico.
Inoltre, il problema sulla competizione alimentare non sussiste in quanto la dieta delle Stenelle striate è basata su cefalopodi e pesci mesopelagici (Casinos, 1982; Würtz & Marrale, 1991; Perrin et al., 1994) mentre quella dei delfini comuni è prevalentemente basata su pesci epipelagici (Bearzi et al., 2003). Le catture accidentali negli attrezzi da pesca, quali le reti, potrebbero avere avuto un ruolo decisivo nel declino della specie (Di Natale & Notarbartolo di Sciara, 1994; IWC, 1994; UNEP/IUCN, 1994; Aguilar & Silvani, 1995; Forcada & Hammond, 1998; Silvani et al.,1999).
Appendice